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Haters e complottisti della rete: il ‘meccanismo mentale’ che li scatena

L’intervista al professor Luigi Corvaglia, studioso anti-sette, saggista, psicologo, psicoterapeuta e conferenziere. Sarà capitato anche a voi di essere attaccati sui social con sproloqu...

L’intervista al professor Luigi Corvaglia, studioso anti-sette, saggista, psicologo, psicoterapeuta e conferenziere. Sarà capitato anche a voi di essere attaccati sui social con sproloquiante veemenza solo per aver espresso una semplice posizione, che magari non era in linea con il pensiero dell’odiatore di turno. Gli haters, odiatori della rete, non perdonano e prediligono le echo chambers, luoghi virtuali in cui si perdono di vista le idee differenti per amplificare le proprie convinzioni, credenze e luoghi comuni in linea con un certo pensiero: una ripetitiva trasmissione di bufale all’interno di un ambito omogeneo e chiuso alimenta il complottista o l’odiatore. L’hater è quello che deve metterci sempre una parola cattiva, anche quando non ha senso farlo. Molti navigano sotto mentite spoglie e la loro caratteristica è di avvelenare qualsiasi discussione con commenti carichi di odio e violenza immotivati. Ultimamente si è fatto strada anche il termine troll: la persona che nelle comunità virtuali interagisce solo con messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso. Quello degli odiatori della rete è un fenomeno in espansione che oltre a essere sotto la lente d’ingrandimento dei sociologi è anche studiato dalla psicologia sociale. Oggi ci siamo chiesti quale meccanismo scatta nel cervello degli odiatori: ci ha risposto un noto psicologo, saggista e psicoterapeuta, il professor Luigi Corvaglia, che abbiamo già incontrato in occasione della puntata dedicata alle sette. È molto interessante quello che ci spiega l’esperto: c’è da mettere in conto anche l’effetto Dunning-Kruger, cioè la distorsione cognitiva che spinge individui poco esperti in materia a sopravvalutarsi e a ritenersi onniscienti in un determinato argomento di cui si discute sui social. “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Chi se lo scorda più questo sfogo del grande Umberto Eco? Anche lui ebbe a che fare con gli odiatori della rete. Però è meglio non arrabbiarsi, come ci spiegherà nell’intervista il dottor Corvaglia: l’odiatore non farà mai un passo indietro. Meglio sforzarsi di costruire sempre più spazi di “comunicazione sana” e non offensiva eliminando i troll. Professore, in questi anni, con la diffusione di internet, che mette alla pari grandi luminari con lo “scemo del villaggio”, si è affermato il termine hater: gli odiatori sono ovunque con i loro sproloqui, il loro spirito di contraddizione e il complottismo che li contraddistingue. Perché è così facile far diventare Facebook uno “sfogatoio”?   “I social sono un mezzo potente. Per la prima volta un qualunque individuo sente di avere il ‘potere’ di esprimersi. In tal senso, sono estremamente  ‘democratici’. Per questo motivo permettono di dare effettuazione a quella falsa nozione di democrazia secondo la quale tutti hanno ‘diritto’ di esprimersi su tutto. Lo scrittore Isaac Asimov sottolineava che la logica secondo la quale ‘la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza’ è il segno di un anti-intellettualismo che si basa sulla sfiducia nei confronti del sapere competente. Dalla sfiducia all’odio il passo è breve, perché le azioni delle ‘élìte’ che sulle competenze si reggono non possono che essere ostili e malvagie. Ed eccoci al complottismo”.   Anche una persona apparentemente “normale” spesso può trasformarsi in un odiatore incendiario, che deve fare polemica sempre e comunque: qual è il meccanismo psicologico che si innesta negli haters?  “Esistono vari tipi di haters. Molti sono frustrati, perdenti che cercano una rivalsa utilizzando il potere e l’enorme pubblico permesso dalla rete (e, al contempo, il riparo fornito dallo schermo). Possiamo dire che si tratti dell’esaltazione onnipotente degli impotenti. Altri, invece, sono persone che ritengono, per predisposizione e/o per modellamento da parte di una sub-cultura nella quale si riconoscono, di essere fra i pochi individui ‘svegli’ che riescono a vedere quello che la maggioranza bovina, truffata dai ‘poteri forti’ (il governo, Big Pharma, ecc.)  non coglie. E’ una forma di supponenza spiegata dall’ effetto Dunning-Kruger  . Questa è una distorsione cognitiva a  causa della quale individui poco  esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità  e conoscenze. Qui abbiamo persone che saremmo portati a definire ‘normali’ – benché la convinzione di essere più furbi degli altri possa mascherare qualche problema – la cui mente è però ormai programmata in senso paranoico. C’è sempre un lato della realtà che non è in luce (‘e allora perché non dite che…’). Paradossalmente, la rabbia che è possibile cogliere nei loro interventi in rete è dovuta alla frustrazione di dover avere a che fare con gente ottusa come la maggioranza della popolazione che ‘non vuole capire’ ”.  Un’altra caratteristica dei social è il complottismo esasperato e le teorie prive di fondamento scientifico che vengono replicare nelle echo chambers all’infinito. Perché queste personalità vogliono credere per forza alle fake news?   “Il complottismo è ormai un movimento popolare. È sempre esistito, ma prima di internet e, soprattutto, dei fatti dell’ 11 Settembre 2001, non era mai arrivato a concretizzarsi in una forma mentis condivisa da ampie schiere di persone in tutto il globo fino a configurarsi come un delirio collettivo. E’ insito nell’uomo cercare una spiegazione accettabile per tutto. Ne deriva una concezione costruttivista della società, per cui ogni fenomeno sociale è pianificato. Ma, se è così, ogni fenomeno sociale negativo è frutto di un piano malefico.    Una teoria del complotto non è tanto la risposta a un singolo evento, quanto l’espressione di una visione del mondo. Infatti, chi crede a una teoria tenderà tende a trovare plausibili anche tutte le altre che spiegano lo stesso evento, nonostante molte di queste siano tra di loro in contraddizione. E’ quindi un pensiero illogico sostenuto dalla condivisione degli altri appartenenti alla sub-cultura.  La fake news non fanno altro che confermare un’idea della realtà, in un processo di selezione delle notizie che serve solo a questo scopo. Il complottismo è un ‘sistema monologico di credenze’, cioè una specie di griglia di regole in cui si possono facilmente inserire anche gli avvenimenti nuovi, sui quali si hanno poche informazioni (e sui quali non è ritenuto necessario averne). A produrlo sono predisposizioni individuali, condizioni esistenziali, il già citato effetto Dunning-Kruger  e sub-culture di tipo populista”.  Quello che colpisce sui social è la violenza delle reazioni in alcuni commenti di persone che nella vita sembrano abbastanza tranquille. Spesso si notano offese gratuite dovute a convinzioni fuori luogo. È capitato persino nella nostra rubrica di sanità che una signora si lamentasse perché parlavamo della sindrome di Tourette, che secondo lei era un argomento da non affrontare... “Immagino che la signora ritenesse che i ‘media’ (al servizio delle ‘elìte’) alimentino la creazione di ‘false malattie’ a vantaggio della ‘casta medica’ (e di ‘Big Pharma’, le multinazionali del farmaco). Perfettamente in linea col complottismo di cui sopra…”.   Succede spesso che gli odiatori si sfoghino in un commento di un pezzo, anche senza aver letto il testo, magari solo sulla base del titolo. Bisogna ignorarli oppure cercare di farli ragionare? Spesso tutti i tentativi sono vani... “Come detto, la conoscenza completa di un argomento non è ritenuta necessaria (elemento paradossale per una minoranza che si dice ‘informata’). In pratica, si tratta di fedi e cercare di usare il ragionamento logico con un fedele non porta mai a nulla, anzi, può incrementare le difese psicologiche al nucleo della propria credenza”.   In questi anni le condanne per diffamazione avvenuta sul web sono cresciute: i social ci rendono più violenti e più aggressivi?   “Certo. Il senso di protezione dato dalla mancanza del contatto fisico e, al contempo, il potere di avere un grande pubblico portano a una esaltazione che rende più impulsivi e meno accorti. Direi che la rete è un ottimo di svelatore delle personalità e un brodo di coltura e contagio del pensiero semplificato”.   Potremmo delineare il profilo di un odiatore del web? È un frustrato che gode a mettere i bastoni tra le ruote degli altri sempre o può essere anche una personalità di successo che in quel momento si vuole sfogare, magari perché l’argomento rispolvera una vecchia ferita?  “Come già detto, gli odiatori del web sono spesso frustrati e/o aderenti a sub-culture paranoidi. Alcune personalità ‘di successo’ – poche - si pongono talvolta quali megafoni e riferimenti di correnti complottiste. Questo avviene, io credo, per forte adesione a ideologie che si vedono in pericolo. Si pensi al cospirazionismo di chi, una volta autorevole scrittore cattolico – e non parlo di una sola persona - vede in Papa Bergoglio lo strumento di un piano massonico di distruzione della Chiesa di Roma”. Sui social ho notato che spesso la gente non sa dialogare in maniera costruttiva: se viene smontato il proprio pensiero assoluto, la propria verità, si passa alle offese alla persona. Sembra facile additare l’altro come un “venduto” uno che sta congiurando contro l’umanità. Forse dobbiamo ricominciare dalla scuola a imparare il confronto?  “Certo. Si deve iniziare ad educare al pensiero critico, al dubbio come relativismo sano e non come scetticismo radicale. Bisogna imparare a richiedere sempre le prove. Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie”. I meccanismi del complottismo anti-sistema si sono acuiti nella vicenda dei “no vax”: battaglie di retroguardia che stanno ancora mietendo vittime. Perché chi non è medico si sente di poter indicare la strada a un medico? Perché chi non conosce il giornalismo vuole insegnarlo su Facebook? Insomma, siamo una nazione in cui quando gioca la Nazionale siamo tutti allenatori. È un fattore di narcisismo, egocentrismo, megalomania o cosa?  “La questione ‘no vax’ è esemplare. La convergenza fra la supponenza dell’incompetente, lo scetticismo nei confronti del competente e l’idea di una cospirazione dei ‘poteri forti’ trova in questa triste storia una delle espressioni più chiare. Il narcisismo vi ha a che fare, perché essere parte di un ‘movimento’ minoritario (se ci si pensa, ad una ‘élite’) che sa, capisce e ‘non si fa fregare’ è qualcosa che appaga il senso di sé. Alla base, però, è esattamente la percezione di non contare che produce questa rivalsa degli incompetenti, questa massa critica di dilettanti che si fa orda”. Per chiudere, da psicologo cosa consiglierebbe a chi sui social ci vede sempre e comunque un complotto, a quelli delle ‘scie chimiche che ci avvelenano’, a chi sempre e comunque vuole fare polemica, anche quando non ce n’è bisogno?  “Perfino quando si discute di calcio, nessuno è disposto a tornare sui suoi passi quando gli si dimostra che ha sbagliato. Si perderebbe la faccia. Davanti a prese di posizione irrazionali non rimane che un lungo confronto critico non ostile ma sottile e orientato alla ‘Cultural Cognition’, cosa improponibile in un dibattito sui social. Lì non si può che abbandonare il campo e aumentare gli spazi colonizzati dal pensiero razionale e dall’informazione corretta”.     Gaetano Gorgoni        

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