Salute Sette 

Alzheimer, sfide e nuove prospettive: l'intervista alla neuropsicologa

  L’intervista all’esperta di stimolazione cerebrale, dottoressa Maria Cotelli, per capire a che punto è la sperimentazione delle tecniche all’avanguardia &ldqu...

  L’intervista all’esperta di stimolazione cerebrale, dottoressa Maria Cotelli, per capire a che punto è la sperimentazione delle tecniche all’avanguardia “Il sogno di ogni neuroscienziato è di trovare la tecnica che modifichi il comportamento del malato di Alzheimer”. Esordisce così la neuropsicologa Maria Cotelli, responsabile unità di Neuropsicologia dell IRCS “Fate Bene Fratelli” di Brescia. La scienza è ancora a lavoro per trovare una cura definitiva per questa grave forma di demenza. L’alzheimer è la malattia complessa della memoria (praticamente consiste nella difficoltà a collocare un’informazione nel tempo e nell’incapacità di ritrovare un posto), che porta alla demenza lentamente: il cervello invecchia a causa delle placche senili di neurodegenerazione. Fumo, inattività fisica, fattori ambientali e altri fattori come la mancanza di relazione con gli altri favoriscono l’Alzheimer. Si può, dunque, lavorare sulla prevenzione primaria con un corretto stile di vita. Ma, quando la patologia colpisce il soggetto, cosa si può fare?  Contro l’invecchiamento non c’è cura, ma un cervello che è continuamente stimolato invecchia di meno. Ci sono 44 milioni di malati di Alzheimer nel mondo e non esiste ancora una cura capace di frenare definitivamente il lento degrado cerebrale che porta i pazienti a una totale alienazione. In Italia si registrano un milione di casi: ogni anno a settembre la comunità scientifica accende un faro su questa malattia. La dottoressa Cotelli, che insegna anche alla Cattolica nel master in NeuroPsicologa, si occupa di tecniche di neuromodulazione e neurostimolazione: studia il modo per ottenere miglioramenti dai pazienti che ha in cura anche attraverso la stimolazione magnetica.  IL CONVEGNO  L’Alzheimer è una delle forme più violente di demenza ed è molto difficile da gestire soprattutto per i familiari, che vengono travolti da questo problema. Nella sala conferenze del Poliambulatorio Calabrese di Cavallino, dei fratelli Maria Luisa e Ruggiero Calabrese, si è tenuto un convegno per fare il punto sulle nuove scoperte e tecnologie nella cura di questa particolare forma di demenza che attacca la memoria. “Alzheimer, sfida dei nostri tempi e nuove prospettive” è stata una importante due giorni guidata dal Comitato scientifico composto dai radiologi Maria Luisa e Ruggiero Calabrese, dalla psicoterapeuta Silvia Perrone e dal neurologo Giovanni Caggia.  TMS E TDCS, LA LECTIO DELLA DOTTORESSA COTELLI Modulare l’eccitabilità corticale già presente, attraverso degli elettrodi posizionati in alcune zone della testa, permette di ottenere dei progressi importanti, secondo la dottoressa Cotelli. Un flusso di corrente incide sulle zone interessate. La stimolazione magnetica transcranica ha degli effetti importanti a lungo termine: aumenta l’attività celebrale contrastando la perdita della memoria, come è emerso nella ricerca svolta da un’équipe di ricercatori dell’IRCCS Santa Lucia. Anche se è tutto in fase di sperimentazione, importanti studi scientifici sono riusciti a provare che la TMS può rallentare la degenerazione mnemonica. La stimolazione magnetica transcranica genera campi magnetici che attraversano la scatola cranica e si trasformano in impulsi elettrici, stimolando così la riattivazione delle connessioni tra sinapsi e neuroni che sono alla base dello scambio di messaggi tra le diverse aree del nostro cervello e quindi alla base di tutte le sue funzioni. In questa violenta forma di demenza, infatti, le zone del cervello non comunicano più. La TMS, dunque, ha effetti neuroriabilitativi. Effetti positivi anche con la tDCS, che ha capacità di modulazione dell’eccitabilità corticale in assenza di effetti collaterali di rilievo. I pazienti, quando viene applicata questa tecnologia, sentono un leggero formicolio, ma si tratta di sensazioni lievi e transitorie. La tDCS migliora l’umore e altre funzioni cognitive, secondo i risultati degli studi della dottoressa Cotelli.    L’INTERVISTA ALLA MARIA COTELLI, NEUROPSICOLOGA  Dottoressa, i suoi studi sugli effetti della stimolazione magnetica sembrano molto confortanti... “Sono tecniche molto promettenti. Ci sono studi che hanno dato esiti molto interessanti da questo punto di vista per i soggetti che presentano iniziali difficoltà relative alla memoria. Ovviamente queste tecniche hanno meno efficacia quando la patologia è già conclamata”.  Riusciamo a frenare questa neurodegenerazione, ma non riusciamo a curarla: attualmente l’Alzheimer è incurabile. C’è ancora molta strada da fare?  “I farmaci che utilizziamo oggi non hanno prodotto gli effetti sperati. Né i farmaci né le tecniche di stimolazione attualmente riescono a ripristinare la cognitività sana nei malati di Alzheimer. L’obiettivo per il futuro è combinare farmaci efficaci con le tecniche di stimolazione cerebrale”.  Durante il convegno ha esposto la sua lunga relazione su TMS e TDCS: qual è la differenza tra le sue tecniche?  “È difficile spiegarla in questa sede, ma posso dire che ci sono molte differenze tecniche e metodologiche di applicazione. Vi sono aspetti comuni, che consistono nel modificare l’eccitabilità corticale. Migliorano tutt’e due alcune funzioni cognitive”.  Queste tecniche di stimolazione cerebrale, quindi permettono di far dialogare alcuni sistemi cerebrali, vero?  “Permettono, modificando l’attività di alcune regioni cerebrali, che il cervello comunichi in modo più equilibrato”.  Gli studi scientifici hanno provato i progressi?  “Ci sono buoni risultati sul linguaggio e sulla memoria”.   GLI ASPETTI NEURORADIOLOGICI Nella diagnosi e cura dell’Alzheimer la neuroradiologia ha fatto grandi passi in avanti. Nel caso dell’Alzheimer per frenare gli effetti devastanti bisogna intervenire quando ancora la malattia non è esplosa: il momento diagnostico è importante. La dottoressa Maria Luisa Calabrese ha parlato dell’esame di risonanza magnetica encefalo come indagine preliminare e necessaria a supporto della diagnosi preventiva di questo tipo di demenza al fine di escludere eventuali patologie concomitanti. La responsabile del Centro Calabrese, inoltre, ha illustrato i nuovi risultati tratti dalla letteratura scientifica circa il possibile ruolo delle sequenze in diffusione come supporto alla diagnosi della malattia di alzheimer.  INTERVISTA AL DOTTOR MICHELE CORRADO, RADIOLOGO POLIAMBULATORIO CALABRESE  Dottore, la radiologia ha un ruolo indispensabile dal punto di vista diagnostico. Qual è il ruolo che svolgete nella patologia dell’Alzheimer?  “La radiologia consente di ottenere, mediante delle immagini di risonanza magnetica ad alto campo, sia la quantificazione dell’atrofia cerebrale, che è una delle caratteristiche fondamentali delle demenze, ma consente di ottenere anche un quadro chiaro della regione ippocampale, fondamentale nella patologia di Alzheimer. Nel nostro studio oltre alla regione ippocampale, mediante dei software dedicati, riusciamo a valutare la morfovolumetria di tutte le regioni cerebrali ottenendo un indice che misura la perdita di volume. Questa indagine ci darà un quadro chiaro della progressione della malattia e ci permetterà di correlare il dato morfologico con il dato clinico”.  In questo modo si può monitorare la regione della memoria... “Valutiamo la regione ippocampale perché c’è una correlazione sia clinica sia anatomopatologica che dimostra come nella fase iniziale della malattia tutto comincia col una perdita della memoria. Anche la perdita di sostanza cerebrale origina dalla regione ippocampale. Quindi il controllo radiologico è utile all’inizio e durante la malattia per stabilire lo stadio della stessa”.   Gaetano Gorgoni

Potrebbeinteressarti