Salento a tavola La cucina del recupero di tutti i tempi: i "muersi" fritti Buongiorno a tutti! Gli spunti per parlare di enogastronomia sono quotidiani, tantissimi e anche diversi. Expo è la parola ricorrente, speriamo che le attese di tutti gli operatori del sett... 10/03/2015 a cura della redazione circa 3 minuti Buongiorno a tutti! Gli spunti per parlare di enogastronomia sono quotidiani, tantissimi e anche diversi. Expo è la parola ricorrente, speriamo che le attese di tutti gli operatori del settore non vadano deluse, che effettivamente l’evento metta in evidenza il cibo italiano di qualità, il lavoro degli artigiani che producono questo cibo di qualità, e la possibilità di esportare questo cibo autentico. Il tutto a vantaggio dell’economia del nostro paese, che, secondo me, dovrebbe pensare di sanzionare seriamente tutti coloro che usano il falso “made in Italy”. Certo che avremmo delle entrate di una certa portata, che non disdegneremmo certo! Saltando da un evento ad un altro, noto sempre più che gli chef blasonati strizzano l’occhio all’Oriente, così come gli italiani vanno a lezione di “sushi” o frequentano i locali specializzati. L’Oriente ha sempre affascinato, anche nei tempi passati. Rimasi infatti colpita quando visitai la residenza della Principessa Sissi a Vienna, c’erano dei bellissimi oggetti di fattura orientale in una sala, lo stesso nel Museo di Capodimonte a Napoli, bellissimo. Ma anche in tante case diciamo “patrizie” non mancano arredi o oggetti “made in China”. Ma non ricordo di aver mai sentito o trovato traccia di Oriente nelle ricette storiche italiane, di tutte le regioni, se non le spezie, il cui commercio con l’Oriente, iniziò proprio con gli scambi grazie alle Repubbliche Marinare, soprattutto quella di Venezia. Si deve però riconoscere che tante ricette italiane, soprattutto quelle delle regioni attraversate da tanti popoli nel passato, come la nostra, hanno conservato le tracce di questi passaggi, vedi la nostra cupeta, origini arabe, la tria che deriva dalla parola araba “ytria”, e così via. In virtù di questo passato, io amo rivalutare, ricercare e recuperare. Sto infatti lavorando ad una raccolta di ricette nostre, di vera “cucina povera”, quella per intenderci dei matrimoni fatti in casa, di minestre con quanto raccolto dall’orto di casa, del tempo in cui la carne si mangiava solo nelle feste comandate, o si ammazzava il maiale per le grandi occasioni, idem per i dolci, solo a Natale e Pasqua, quando insomma non c’era l’abbondanza e gli sprechi attuali. Quando le persone lavoravano duramente nei campi, e non avevano certo bisogno di frequentare le palestre, avevano bruciato talmente tanto tutto il giorno. Se ci vedessero i nostri antenati… Il recupero di questi piatti è bello da trasmettere e far conoscere a chi viene in Puglia per cercare proprio l’autenticità della gente e della cucina, noi piacciamo per questo! E noi che facciamo, gli proponiamo la cucina Orientale?! Come diceva il fantastico “Totò”…ma mi faccia il piacere! Io continuo a mangiare pugliese e me ne vanto! Eccovi una ricetta vecchia, quella dei tempi in cui era più quello che mancava di quello che si trovava…e tutti erano vegani per forza, non per scelta! I cecamariti o muersi fritti (da un agenda ricettario del Quotidiano del 1999) In sostanza questa ricetta non è altro che un modo di recuperare quello che era avanzato il giorno prima, dei legumi cotti, allora nel camino e in tegami di coccio, delle verdure di campagna del giorno prima e del pane, anch’esso rimasto dai giorni prima. Si parte friggendo dei pezzetti di pane in olio extra vergine d’oliva, quando sono appena dorati, si aggiungono prima le verdure e poi i legumi. Si mangia tutto caldo con un aggiunta di olio “santo”, per chi lo gradisce. Attualizzando la ricetta ai nostri tempi, possiamo surgelare dei legumi cotti in precedenza e anche delle verdure, anche rape e broccoli, e poi un giorno tirarle fuori per fare in un attimo questo piatto sano e completo. Alla prossima! Anna Maria Seguitemi sempre su Facebook! (In copertina, foto tratta dal libro "Il gusto del tacco d'italia" di Anna Maria Chirone)
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