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Alla scoperta del Salento “fuorilegge”: dall'Arco di Prato alle chiese, ecco i rifugi storici

Il sito “Salento a colory” propone un viaggio in un Salento inedito, quello dove trovavano rifugio i fuorilegge: tra chiese e case nobiliari, ecco dove alloggiavano i perseguitati. Esi...

Il sito “Salento a colory” propone un viaggio in un Salento inedito, quello dove trovavano rifugio i fuorilegge: tra chiese e case nobiliari, ecco dove alloggiavano i perseguitati. Esiste un Salento poco conosciuto, quello frequentato dai “fuorilegge” dell'antichità, dove i ricercati, gli invisi ai potenti, cercavano e trovavano rifugio. In lungo e largo per la Terra D'Otranto, sono stati tanti difatti i luoghi che offrivano una “zona franca” al fuorilegge di turno: chiese, monumenti e persino dimore nobiliari. Una storia inedita di cui però è possibile trovare traccia attraverso le iscrizioni che resistono al passare del tempo. Un lavoro certosino compiuto da Alessandro Romano, appassionato di storia salentina e curatore della pagina web “Salento a colory”, che così racconta questo originale percorso di ricerca. “L’idea m’è venuta davanti ad un’incisione: qui non si gode asilo. L’ho trovata iscritta in bella vista sulla facciata di alcune chiese. In passato, la chiesa era il luogo dove i perseguitati correvano a rifugiarsi, in tempi in cui spesso non era facile diramare le questioni di giustizia. Ci ricorrevano tutti, i banditi, ma anche gli artisti che erano incappati in qualche disavventura, come a Lecce capitò anche al suo più celebre scultore, lo Zimbalo, che a seguito del crollo di una fabbrica che stava erigendo, e ritenuto colpevole del disastro, si rifugiò nella chiesa della Madonna di Costantinopoli. Qui non poté essere catturato e si trattenne il tempo che si calmassero le acque. Nel frattempo i monaci della chiesa gli chiesero, in cambio dell’ospitalità, di ristrutturare la facciata della loro chiesa, ed egli infatti la iniziò. Salvo poi abbandonare tutto quando, fatta pace con la cittadinanza, tornò in libertà, e la chiesa rimase senza la parte superiore della decorazione architettonica!” Testimonianze simili si possono trovare in diversi òuoghi del Salento, da Lucugnano, dove sulla facciata di una piccola chiesa spicca in bella evidenza l’iscrizione “non gode asilo” - una sorta di avvertimento a tutti quelli che scappavano dalla legge, che qui, al suo interno, potevano essere acciuffati, e nessuno poteva impedirlo – fino ad Aradeo, dove i fuggiaschi cercavano di arrivare sotto la colonna con la statua di San Giovanni Battista per diventare intoccabili. “Ancora oggi, in paese” aggiunge Romano, “tutti ricordano che un tempo (e ci sono attestazioni storiche fino a tutto il XVII secolo) che la colonna conserva ancora qualche graffito sbiadito dal tempo. Uno in particolare è ancora riconoscibile e mostra una nave, con le vele spiegate; forse il miraggio di uno sventurato che qui sotto si era attaccato alla vita come un cane bastonato che non si vuole arrendere”. Tra i luoghi importanti per queste corse per la vita fra guardie e ladri, anche l'Arco di Prato di Lecce. “Celebre per la seccata risposta del re Ferdinando di Borbone in visita alla città, che ai notabili che lo accompagnavano e gli indicavano questo monumento, 'guardi maestà, questo è l’arco di Prato', lui rispose con accento napoletano: 'Che me ne fotto!'. Questo era l’ingresso alla grande casa della famiglia Prato, una delle più antiche di Lecce, il cui rappresentante più illustre, Leonardo, cavaliere Ospitaliere, morì combattendo contro i Turchi difendendo la città di Venezia. La sua famiglia era così potente che concedeva ai fuggiaschi diritto di asilo: chi di loro riusciva ad oltrepassare questo portale, nessuno poteva fargli più niente. All’interno di questo arco si vedono moltissimi graffiti, memorie lontane di lotta per la vita, come quella a cui ci riporta una data incisa (1647), che coincide con l’anno di una disperata protesta dei leccesi contro la tassa sulla farina, che stava affamando gran parte della popolazione: ci furono dei tumulti, molti vennero qui per cercare scampo, ma qualcuno non ce la fece e si contarono dei morti”. Non solo città comunque, dal momento che “la Terra d’Otranto più selvaggia si trova, allora come oggi, fra i dirupi e le gravine delle murge tarantine. Fra Crispiano e Grottaglie si estende il bosco delle Pianelle, covo di briganti di epoca sia precedente che post-unitaria. Qui, mi raccontano gli amici, che nel silenzio suggestivo di queste lande immense, non si fa fatica a risentire il galoppo dei cavalli lanciati a briglia sciolta dei briganti, in frenetiche fughe che portavano gli inseguitori a cadere nei dirupi che si aprono all’improvviso sulla gravina. Questo fu il regno del celeberrimo brigante papa Giru, don Ciro Annicchiarico, un prete accusato di omicidio, che divenne brigante, scorrazzando per tutta la zona ad inizio del XIX secolo, fino alla sua cattura ed impiccagione in Francavilla Fontana. Le querce secolari che si ergono in queste remote contrade l’avranno visto sicuramente lanciato al galoppo, laddove oggi è nato un parco naturale che protegge questo incantevole scenario naturale. Era un territorio difficile e incontrollabile”. Sempre nel Salento invece si trovano tracce di questa storia anche tra Seclì e Galatone. Sulla facciata di una chiesa in via di disfacimento, si legge questo monito 'Qui non gode asilo', stessa scritta sull’ingresso della famosa cappella di San Paolo, a Galatina (la cappella dei tarantati), dove ormai la scritta si legge a malapena. Testimonianze simili anche a Minervino, dove però, a ben guardare, qualcuno cancellò quel 'non', forse in tempi recenti e più clementi, quando la pietà e la ricerca di una giustizia più vera tornava lentamente a rialzare il capo, fra le comunità di tutto il Salento!”

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