Cultura Otranto Una vita da Iena, Giulio Golia premiato a Otranto: «Il segreto? Essere me stesso» L’inviato del programma di Italia Uno tra i premiati al Festival Giornalisti del Mediterraneo 05/09/2021 Mauro Bortone circa 2 minuti Giulio Golia, una vita da Iena: 24 anni nel programma di Mediaset che unisce informazione e intrattenimento, il giornalista e inviato della nota trasmissione figurava tra i premiati del “Premio Caravella” nella serata conclusiva della tredicesima edizione del Festival Giornalisti del Mediterraneo, tenutasi a Otranto, in Largo Porta Alfonsina. Golia ha raccontato, tra battute divertenti sulla Puglia (legati alle prime “botte” ricevute da inviato), i servizi di cui si è occupato soprattutto nel primo lockdown, quando in alcune periferie italiane tanti cittadini erano abbandonati a se stessi. A margine della serata, una breve intervista sulla sua carriera. Giulio Golia, si può dire che sei il decano delle Iene. Il programma ha virato nel tempo verso una proposta maggiore di servizi inchiesta: tu che hai vissuto tante stagioni, come hai interpretato questo cambiamento? «Faccio Le Iene da ormai 24 anni, all’inizio c’era la prevalenza di una satira comica, con altri che si occupavano delle inchieste: il programma è sempre stato un grande contenitore, in cui c’erano molte cose. Poi, per fortuna, siamo cresciuti e ognuno di noi ha preso una strada diversa»Nella tua storia ci sono personaggi, alcuni dei quali come Totò Fattazzo, oggi in epoca di Covid, non sarebbero riproponibili: rappresentano il passato o fanno ancora parte di te? «Oltre a Totò Fattazzo, c’erano Hulko, nonno Giulio, Boccione e altri: sono tutti miei personaggi, sono cambiate delle cose ma non li abbandono, ce li ho sempre»Si può dire che nel modo di avvicinare i soggetti delle tue interviste, al di là del loro ruolo, tu abbia quasi inventato uno stile, che è molto personale e consiste nella capacità di creare empatia con chiunque: è qualcosa che si ha dentro o che è maturato grazie al lavoro degli autori? «Penso sia una cosa innata. Come diceva giustamente Gaia Tortora (sul palco la giornalista di La7 spiegava di non indossare maschere quando conduce il suo programma, ndr), nel suo intervento, non puoi indossare una maschera: o sei così o non lo sei. Se il mio interlocutore mi è simpatico, mi fermo e gli parlo; se è scostumato, mi giro e me ne vado. So il mestiere che sto facendo e conosco quello del mio interlocutore: se le due cose non collimano, io comunque le domande te le faccio. Questo approccio è un fatto di rispetto e anche se non sei una persona perbene, provo a rispettarti e chiederti conto delle tue azioni e così facendo, trovi un centro». Hai parlato con ironia della Puglia: ma questa è anche una terra che rimanda a NadiaToffa, che qui ha condotto delle inchieste importanti, sull’Ilva, sulla tratta di minori a Bari e su xylella. Che eredità ha lasciato e come si riesce ad andare avanti, superando quella perdita?«Sulla Puglia, a parte l’ironia, ovviamente è una terra che adoro. Su Nadia, riesco solo a dire che a noi manca, manca tanto». C’è un esercito di giornalisti precari, sottopagati, che rappresentano un po’ la periferia dell’informazione e di cui spesso anche i grossi media non sembrano interessarsi. Se potessi parlare a loro, cosa diresti? «Di non mollare mai, di seguire sempre la verità e credere in quello che si fa, perché tutto, ne sono fermamente convinto, prima o poi torna».
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