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Covid-19: l’ipotesi tromboembolie. È questa la causa dei ricoveri in Rianimazione?

L'ipotesi del dottor Gianpaolo Palma

Venerdì scorso (10/aprile/2020) il dottor Gianpaolo Palma, medico cardiologo emodinamista, che ha studiato Cardiologia e Malattie Cardiovascolari dell’Università di Parma e che lavora in un Centro di Trombosi, Coagulazione e scompenso (accreditato con il sistema nazionale) a Salerno ha stupito la comunità medica con un’ipotesi che ha cominciato a circolare su tutti gli smartphone dei medici. Noi lo abbiamo raggiunto al telefono e ci siamo fatti spiegare la sua ipotesi, che nasce da una videoconferenza con uno degli ospedali più importanti di Milano: la terapia anticoagulante sembra avere effetti molto positivi sui pazienti in fase di malattia covid-19. “Non vorrei sembrarvi eccessivo ma credo di aver dimostrato la causa della letalità del nuovo coronavirus - ha spiegato il cardiologo in un post su Facebook - Solo al Beato Matteo ci sono 2 cardiologi che girano su 150 letti a fare ecocardio con enorme fatica e uno sono io. Fatica terribile!

Però, di quello che alcuni supponevano, ma non riuscivano a esserne sicuri, ora abbiamo i primi dati.

La gente va in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare.

Se così fosse, non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni perché innanzitutto devi sciogliere, anzi prevenire queste tromboembolie”. 



Cominciamo col dire che della malattia covid-19 si sa ancora poco e si procede per tentativi, ipotesi e medicinali sperimentali (tra cui antivirali e antinfiammatori). La malattia ha tre fasi: replicazione virale, coinvolgimento polmonare e l’ultima fase di difficoltà respiratoria, che costringe il paziente alla terapia intensiva. Il direttore Giampaolo Palma ha discusso di questa sua ipotesi in una videoconferenza con alcuni ospedali della Lombardia: “Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve! - spiega il dottor Palma - Infatti muoiono 9 su 10. Perché il problema è cardiovascolare, non respiratorio! Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità.

E perché si formano trombi? Perché l'infiammazione come da testo scolastico, induce trombosi attraverso un meccanismo fisiopatologico complesso ma ben noto.

Allora? Quello che la letteratura scientifica, soprattutto cinese, diceva fino a metà marzo era che non bisognava usare antinfiammatori. Ora in Italia si usano antinfiammatori e antibiotici (come nelle influenze) e il numero dei ricoverati crolla.

Molti morti, anche di 40 anni, avevano una storia di febbre alta per 10-15 giorni non curata adeguatamente. Qui l'infiammazione ha distrutto tutto e preparato il terreno alla formazione dei trombi. Perché il problema principale non è il virus, ma la reazione immunitaria che distrugge le cellule dove il virus entra. Infatti nei nostri reparti COVID non sono mai entrati malati di artrite reumatoide! Perché sono in terapia cortisonica.

Questo è il motivo principale per cui in Italia le ospedalizzazioni si riducono e sta diventando una malattia curabile a casa.

Curandola bene a casa eviti non solo l'ospedalizzazione, ma anche il rischio trombotico.

Non era facile capirlo perché i segni della microembolia sono sfumati, anche all'ecocardio. Ho confrontato i dati dei primi 50 pazienti tra chi respira male e chi no e la situazione è apparsa molto chiara”.

Burioni ha fatto un post in cui boccia questa ipotesi, ma senza entrare nel merito e confondendo il luogo di lavoro del medico (lavora a Salerno e non a Pavia). “Io non mi permetto di discutere con i medici che vanno in televisione come Burioni. Ho ipotizzato questi interventi da medico che lavora sul campo da anni, oggi da direttore di un Centro Trombosi e Coagulazione accreditato con il Sistema Sanitario Nazionale. Giovedì pomeriggio, prima di fare il post, ho partecipato a una video-conferenza con i colleghi del Niguarda di Milano, in cui abbiamo analizzato i primi cinquanta reperti di biopsie dove emerge un tessuto polmonare pieno di coaguli - spiega il cardiologo - Ci sarebbe una formazione intravascolare disseminata innescata dal virus. Non è una certezza, ma un’ipotesi. Alcuni pazienti non vanno in ventilazione perché rispondono molto bene all’enoxaparina”. 


I FARMACI CHE POSSONO BLOCCARE L’EVOLUZIONE DELLA MALATTIA 


I farmaci anti-trombotici e anticoagulanti non sconfiggeranno la malattia covid-19, non saranno la salvezza, ma in una determinata fase potrebbero evitare che il paziente venga intubato. Trattando il paziente nelle prime fasi con queste terapie si potrebbero salvare tante vite umane: il direttore Palma ci avvisa che in autorevoli ospedali si stanno già mettendo in pratica questi protocolli. Tra il non far nulla, lasciando in casa il paziente con tosse e febbre (col rischio che finisca in rianimazione) e l’intervento per prevenire le complicazioni, si potrebbe utilizzare quest’ultima soluzione sperimentale, con le dovute accortezze. Quando inizia la terza fase, quella della difficoltà respiratoria, che costringe i pazienti a ricorrere alla Terapia Intensiva, la situazione è già rischiosissima, ecco perché in molti si stanno sforzando di trovare soluzioni che giochino d’anticipo. I farmaci antitrombotici rappresentano un’ipotesi: una profilassi antitrombotica potrebbe essere importante nella seconda fase della malattia, insieme ad altri farmaci (incluso quello che un tempo si utilizzava contro la malaria, l’idrossiclorochina). 


Dottore, si parla molto di eparina: può essere una soluzione? 


“Non illudiamoci! La soluzione finale sarà solo il vaccino! Noi stiamo solo trovando il modo di non far andare i pazienti in ventilazione assistita, in Rianimazione. In questo momento dobbiamo trovare soluzioni tampone. Analizzando i reperti del tessuto polmonare aggredito dal virus abbiamo trovato conferme di una ipercoagulazione a livello dei vasi polmonari. Quindi, l’anticoagulante migliora nella fase due della malattia”. 

Nel post il dottor Palma spiega che le sue ipotesi sembrano confermate dalle “vasculiti con esiti in tromboembolia polmonare” dai protocollo di grandi ospedali: “Al Sacco danno Clexane a tutti, con D-dimero predittivo: più è alto meno risponderà il paziente; al San Gerardo di Monza Clexane e cortisone

al Sant'Orsola di Bologna Clexane a tutti + protocollo condiviso con i medici di famiglia che prescrivono Plaquenil a pioggia su tutti i pazienti monosintomatici a domicilio.

Integro con una precisazione sugli antinfiammatori: la produzione di COX 2 è aumentata nei tessuti bersaglio virali da pazienti con infezione virale attiva e si è visto che la delezione della cox2 riduce la mortalità , mentre la delezione della cox1 è associata al peggioramento dell’infezione.

Quindi i farmaci antinfiammatori tipo Brufen, naproxene, aspirina che inibiscono la cox1 oltre che la Cox 2 non andrebbero usati, mentre celecoxib, un inibitore selettivo della Cox 2, sembra dare buoni risultati: bisogna comunque aspettare esito di studi, invece questa analisi porta in evidenza la necessità di usare negli stadi più avanzati della malattia un’ eparina a basso peso molecolare ad alte dosi... (Clexane 8.000 UI/die).

Evito (per non appesantire troppo l'esposizione, e perché il testo è troppo tecnico) di riportare un'interessante testimonianza di un anatomo-patologo: vi basti pensare che il ‘Papa Giovanni XXIII’ di Bergamo ha eseguito 50 autopsie ed il ‘Sacco’ di Milano 20 (quella italiana è la casistica più alta del mondo, i cinesi ne hanno fatte solo 3 e ‘minimally invasive’). 


CONCLUSIONI


Siccome i tempi del vaccino sono ancora lunghi, ascoltare i medici che lavorano sul campo è molto importante. Il dottore Giampaolo Palma fa un’ipotesi suggestiva che potrebbe cambiare le cose e che nasce dal confronto tra medici e anatomopatologi. Il direttore del Centro Cardiologico di Salerno però spiega che conta tanto anche la genetica: come sappiamo, la cura che può funzionare per un paziente potrebbe non funzionare per altri. Le risposte immunitarie sono diverse e poi conta anche la carica virale con cui bisogna fare i conti. Il dottor Palma giunge a questa ipotesi con un confronto sul campo, dopo aver analizzato diversi trombi capillari polmonari che avevano interessato circa 50 pazienti colpiti da covid-19. Quindi, la polmonite interstiziale in realtà sarebbe un danni coronale consecutivo a una iper-coagulazione a livello dei vasi terminali polmonari”. 


Gaetano Gorgoni 

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