Cultura San Cataldo e il Porto di Adriano: quando Lecce era il centro del Mediterraneo Muti resti in abbandono nei pressi del faro della marina leccese ci narrano del fiorente approdo rivolto ad Oriente e costruito dall’imperatore Adriano nel II secolo d.C. Del porto di Lecce... 07/07/2013 a cura della redazione circa 4 minuti Muti resti in abbandono nei pressi del faro della marina leccese ci narrano del fiorente approdo rivolto ad Oriente e costruito dall’imperatore Adriano nel II secolo d.C. Del porto di Lecce scrive tra i primi lo storico e geografo greco Pausania del II sec. d.C. che lo definisce “un porto artificiale per le navi, opera dell'imperatore Adriano”. Qui confluivano le strade che si diramavano dalla città romana verso il mare, tutte in direzione da Ovest a Est ed ancora visibili in alcune tracce di antiche carrarecce, incrostate dai depositi calcarei a seguito del lungo tempo di disuso. Il Molo di Adriano sorgeva, dunque, dov’era più naturale e logico che fosse ubicato, in un’insenatura rivolta ad Oriente ricadente nell’attuale marina di San Cataldo, dunque a pochi chilometri da Lecce, punto di approdo dei tanti marinai che solcavano il basso Adriatico, luogo di fiorenti traffici di merci e di scambi tra vari popoli del Mediterraneo. Di quest’imponente opera portuale si possono tuttora ammirare nei pressi del faro i blocchi regolari, quasi squadrati, in parte chiaramente individuabili fuori dall’acqua, in parte sommersi e completamente ricoperti da vegetazione marina. Il porto, edificato da Adriano nel secondo secolo d.C., lì dove naturalmente ricadeva l’estrema propaggine dell'impero romano verso Oriente, oppure, secondo alcune ipotesi, da lui fatto ricostruire sui resti di un nucleo più antico, è indicato dalle fonti letterarie come luogo dello sbarco dell’imperatore Ottaviano che era diretto a Roma dopo aver appreso la notizia della morte di Cesare, nel 44 a.C. Lo stesso Pausania riferisce che l’imperatore fece costruire la struttura portuaria per fornire un ancoraggio, in caso di burrasca, alle imbarcazioni che facevano il tragitto fra Brindisi e Otranto, gli altri due nodi portuali romani, tappe obbligate per chi percorresse le rotte di Levante, facendo da ponte tra Oriente e Occidente. L’antico porto adrianeo costituì, dunque, il principale e più vicino sbocco marittimo della città, ricoprendo un ruolo determinante tra la fine dell'età repubblicana e la prima età imperiale, quando il municipium di Lupiae conobbe un forte impulso economico e culturale. Proprio in questo periodo la cittadina, ormai pienamente romanizzata, incontrò un crescente sviluppo fiorendo in particolare, secondo quanto narrano le fonti, grazie ai favori concessi dall’imperatore stesso verso la città erede della grande Rudiae e, probabilmente, ancor prima, della Sibari Sallentina. Così anche il traffico marittimo divenne intenso e il suo vicino porto sempre più fiorente, diventando teatro di numerosi scambi commerciali nonché culturali nell’intera area del Mediterraneo. L’opera fu poi munita di infrastrutture che furono ulteriormente rafforzate dalla costruzione del molo, prolungandosi in mare per una lunghezza di oltre un miglio e in profondità fino a circa 15 mt, nel punto in cui gli ingegnosi costruttori romani impostarono le fondamenta, fissandone il basamento e i pilastri in resistente pozzolana. La parte più avanzata del molo, a nord del faro, è riuscita a resistere fino ai nostri giorni ma ciò che di più straordinario si conserva dell’antica struttura, purtroppo, sfugge agli occhi dei visitatori della marina di San Cataldo in quanto completamente sommerso e consumato dalle acque. Enormi massi giacciono, infatti, sul fondale marino, in attesa di essere riscoperti in tutta la loro grandezza, a testimonianza del glorioso passato che sulle coste dell’antico Sallentum. Nonostante più volte negli ultimi anni siano state avanzate varie proposte di recupero del molo ipotizzando persino l’edificazione di un porto turistico e la riqualificazione dell’intera area niente finora è stato fatto per salvare dal degrado quel che resta dell’antico porto e il mare continua ad ingoiarne, con la sua forza prorompente, le superstiti rovine. La roccaforte di Maria d’Enghien Sui resti romani, all’epoca ancora intatti, Maria d'Enghien contessa di Lecce, alla fine del 1400, fece ricostruire il molo adrianeo, ampliando la struttura con un’alta e imponente torre, facendone una vera e propria fortezza a picco sul mare. La suggestiva opera fu realizzata, come riferisce Pausania, con “arte meravigliosa” e “con lunghe petre”, tanto che al tempo della dominazione spagnola, quella di San Cataldo vantava il pregio di essere considerata tra le più importanti piazzeforti marine, notevole presidio del Regno di Napoli in quanto collocato in un punto strategico di passaggio e congiungimento tra Oriente ed Occidente. La vecchia torre di San Cataldo cadde poi sempre più nell'abbandono con il progredire della malaria e del paludismo nel territorio circostante, che si andava man mano spopolando, fino a crollare definitivamente verso la fine del 1700. Oggi dello splendore della fortezza medievale da cui rifulgeva il potere della più nota contessa leccese che ha segnato la storia della città a quel tempo, non restano che pochi e quasi invisibili resti, divorati dall’avanzare del tempo ma, ancor più, dalla disattenzione e dall'incuria dell’uomo. Rosy Paticchio Fonte: Belpaese
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