Salute Sette “Bere acqua nella plastica significa ingerire 90mila particelle di microplastiche l’anno”: lo studio Uno studio italiano ci mette di fronte a un’inquietante realtà: le particelle di plastica entrano nel nostro corpo e sono state ritrovate persino nella placenta 15/01/2021 circa 3 minuti “Mediamente un individuo che beve solo acqua in pet, ingerisce 90mila particelle di microplastiche l’anno, secondo i recenti studi” - spiega il ricercatore del Dipartimento di Prevenzione, dottor Prisco Piscitelli. Uno studio italiano ci mette di fronte a un’inquietante realtà: le particelle di plastica entrano nel nostro corpo e sono state ritrovate persino nella placenta. Lo studio dell'Ospedale Fatebenefratelli di Roma e del Politecnico delle Marche è stato pubblicato sulla rivista scientifica Environment International. I bambini che nascono non hanno solo cellule umane, ma anche plastica. La ricerca apre scenari inquietanti, anzi a dir poco scioccanti. Lo studio si è concentrato sull’analisi di alcune placente, in particolare di sei donne sane tra i 18 e i 40 anni con gravidanze normali che hanno dato il loro consenso alla ricerca. In queste placente sono stati identificati 12 frammenti, tre dei quali sono polipropilene, cioè materiale con cui vengono realizzati contenitori, bottiglie di plastica e tappi, gli altri nove elementi ritrovati appartenevano a materiale sintetico verniciato. Diversi studi continuano a confermare la necessità di sostituire la plastica nella nostra vita quotidiana. L’ultimo studio sulla placenta di donne sane, in cui alcune particelle di plastica sono state trovate nella parte attaccata al feto, deve convincerci a cambiare il nostro stile di vita. Forse le bottiglie di vetro pesano di più, ma non creano problemi di rifiuti (perché si fa il reso al negozio dove vengono acquistate) e nemmeno rischi per la salute. Le microplastiche che possono albergare nel nostro corpo derivano da cosmetici, smalto per unghie, dentifricio, gesso, creme per il viso e per il corpo e infine adesivi. Sui rischi derivanti da questi elementi che raggiungono il nostro organismo bisogna fare ulteriori approfondimenti. La risposta del corpo, del sistema immunitario, di fronte all’ingresso di particelle microscopiche di plastica è molto diversa a seconda delle persone: bisogna studiare le reazioni. Questi pericolosi elementi possono entrare in due modi: attraverso l’apparato respiratorio, quindi attraverso il circuito ematico, ma anche attraverso l’alimentazione, cioè attraverso l’intestino. Quante volte abbiamo mangiato da una vaschetta di plastica in cui viene confezionato il cibo dei supermercati? E quante volte abbiamo bevuto nella nostra vita da una bottiglia di plastica? Infinitesimali frammenti di plastica (delle stesse dimensioni dei globuli bianchi) circolano nel nostro organismo, arrivano fino alla placenta e si muovono agevolmente nella dimensione cellulare. Il contatto di cellule di mammifero con elementi di plastica è in grado di influire sulla risposta immunitaria. LA PLASTICA ESPOSTA AL SOLE Non sapevamo che l’uso della plastica permettesse l’introduzione nel nostro organismo di microparticelle, ma sappiamo ormai da tempo della pericolosità rappresentata dalla plastica o bottiglie pet esposte al sole. Esposta al sole, la plastica libera sostanze nocive per l’organismo: il rischio deriva dal materiale con cui viene confezionata la bevanda. Insomma, la plastica non devasta solo i nostri oceani: è un pericolo anche per la nostra salute. Oggi sappiamo di aver sbagliato a sostituire il vetro con la plastica - riflette il Dr Prisco Piscitelli, ricercatore epidemiologo ISBEM (istituto scientifico biomedico euro mediterraneo) e specialista dell’Asl leccese- Dal 21 Giugno 2017 l'Agenzia Europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha ufficialmente inserito il Bisfenolo A nella categoria degli interferenti endocrini (i cui effetti epigenetici sono stati trattati nel nostro editoriale col Prof. Burgio sulla rivista IJERPH ndr). Gli studi dell'Università del Michigan e del Texas hanno in anni recenti dimostrato che questa sostanza - ampiamente usata per la produzione di bottiglie per acqua, packaging alimentare e rivestimenti delle scatolette di latta per alimenti e bevande - viene rilasciata in modo molto veloce in maniera direttamente proporzionale alla temperatura. Per questo una nuova sentenza della Cassazione si riferisce alle bottiglie esposte a lungo al riscaldamento e condanna il commerciante che le ha lasciate al sole. Il Bisfenolo A mima l'azione degli ormoni estrogeni femminili ed è stato associato negli studi internazionali a problematiche di infertilità, sia maschile che femminile, metaboliche (diabete, neurologiche e cardiovascolari). La situazione è problematica perché il bisfenolo A è praticamente ubiquitario nei contenitori per liquidi e alimenti destinati al consumo umano. Non a caso, nel 2011 è stato messo al bando almeno dai biberon per neonati in applicazione del principio di precauzione sancito all'art. 191 dei trattati di funzionamento della Unione Europea. Anche il Parlamento Europeo e l'EFSA (l'autorità per la sicurezza alimentare) si sono occupati del problema, con tentativi di messa al bando della sostanza nei cicli produttivi. Di certo, se in Europa si parla tanto di economia circolare, basterebbe incentivare il ritorno all'utilizzo del vuoto a rendere delle bottiglie di vetro per scongiurare almeno in parte il problema. Qualcuno lo sta già facendo: forse le bottiglie di vetro sono più costose (col “reso” si ammortizzano i costi), ma rappresentano un passo avanti verso un mondo più sostenibile. Gaetano Gorgoni
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