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La rivoluzione della farmacomicrobica: "I batteri decidono i farmaci giusti"

Abbiamo già parlato dell’importanza del microbiota intestinale: la scienza ha fatto passi da gigante fino alla farmacomicrobica. I batteri interagiscono con qualsiasi principio farmacolog...

Abbiamo già parlato dell’importanza del microbiota intestinale: la scienza ha fatto passi da gigante fino alla farmacomicrobica. I batteri interagiscono con qualsiasi principio farmacologico, come se decidessero quali sono i medicamenti giusti e quali no. “La conoscenza di queste dinamiche interattive ‘batteri-farmaci’ può credibilmente generare strategie personalizzate di manipolazione della struttura del microbiota, ciò che porterebbe ad ottimizzare l’efficacia di eventuali terapie che il soggetto è chiamato ad assumere” - spiega il professor Mauro Minelli nell’intervista di oggi.  La flora batterica intestinale, oramai universalmente nota come “microbiota intestinale”, nel soggetto umano adulto conta numeri enormi oscillanti, secondo stime accreditate, tra 10mila miliardi (1013) e un milione di miliardi (1015) di microrganismi. Il microbiota è composto da batteri, archea, funghi, virus e protozoi che, vivendo in simbiosi con l’ospite, occupano il più grande organo del sistema immunitario rappresentato, appunto, dal tratto gastrointestinale. I batteri sono la componente maggiormente studiata nel microbiota e, ai fini della loro identificazione, si è passati dall’originario esame colturale, decisamente inadeguato ed incompleto, alle più puntuali indagini molecolari con particolare riferimento alle metodiche della Next Generation  (NSG). La colonizzazione dell’intestino inizia con il parto, ma la colonizzazione dei primi cinque anni di vita sembra essere fondamentale per il corretto sviluppo del sistema immunitario. Lo sbilanciamento del microbiota conduce alla “disbiosi” intestinale che, oltre ad essere evidentemente chiamata in causa nello sviluppo di tante e diverse malattie, risulta oramai coinvolta anche in altri processi come quelli implicati, ad esempio, nelle risposte individuali ai trattamenti farmacologici. Come dire che il microbiota intestinale giocherebbe un ruolo importantissimo nel modulare, in ciascun paziente, l’efficacia di ogni terapia con la logica conseguenza che sue manipolazioni mirate potrebbero sortire effetti benefici sugli esiti di una cura altrimenti destinata a possibili insuccessi. Ne abbiamo parlato con il professor Mauro Minelli, Responsabile per il sud Italia della Fondazione Medicina Personalizzata.  INTERVISTA AL PROFESSOR MAURO MINELLI  Professore, accade che, a parità di quadri patologici, un individuo risponda ad una terapia farmacologica in maniera completamente diversa rispetto ad un altro. Già conosciamo le grandi potenzialità della farmacogenetica inscritte nell’alveo della Medicina di Precisionema, oltre a queste, ci sono altre variabili interpersonali che possono condizionare le diverse risposte farmacologiche? “Sono oramai ben note le grandi potenzialità della farmacogenomica che risulta particolarmente utile, ai fini dell’ottimizzazione personalizzata delle scelte terapeutiche, soprattutto nei casi in cui determinati princìpi attivi dovessero possedere, in soggetti diversi, alterati ‘indici terapeutici’ associati a dinamiche variabili di smaltimento metabolico dei farmaci. Ma, oltre a queste importanti componenti già peraltro sufficientemente note tanto sul versante concettuale quanto su quello operativo, un nuovo filone di ricerca, suffragato da applicazioni scientifiche recentemente pubblicate su Cell Host & Microbe da un gruppo di studiodella University of California (San Francisco), va progressivamente emergendo affermandosi come ‘farmacomicrobica’, termine di conio nuovo ed efficace nel quale viene sintetizzata la capacità del microbiota (non solo intestinale) di interagire con un qualsiasi principio farmacologico. E siamo, ancora una volta, ad una sconvolgente rivoluzione: sarebbero i batteri a decidere se, nel nostro organismo, un determinato medicamento debba funzionare oppure no”.      Quindi esiste una correlazione tra composizione della flora batterica che alberga nel nostro organismo ed efficacia o inefficacia dei farmaci che noi assumiamo? “Come già evidenziato da autorevoli ricercatori che, in tal senso, hanno nel tempo pubblicato articoli brillanti su riviste di prestigio internazionale, la correlazione esiste e va letta in duplice versione. Per un verso c’è la possibilità che il microbiota intestinale, così come strutturato in ciascun singolo individuo, interagisca con i farmaci da quest’ultimo eventualmente assunti, alterandone le dinamiche di smaltimento metabolico fino a modificarne gli effetti terapeutici (annullandoli ovvero inducendo reazioni avverse). Per altro verso, invece, la conoscenza di queste dinamiche interattive ‘batteri-farmaci’ può credibilmente generare strategie personalizzate di manipolazione della struttura del microbiota, ciò che porterebbe ad ottimizzare l’efficacia di eventuali terapie che il soggetto è chiamato ad assumere. Le prospettive per molti versi inedite, che scaturiscono dalle evidenze fin qui raccolte, risultano essere particolarmente interessanti”.    Le “prospettive interessanti” di cui parla appartengono a mere speculazioni o sono, invece, da considerarsi evidenze oggettive sulle quali puntare al fine di perfezionare gli attuali protocolli terapeutici, la cui efficacia non sempre risponde alle aspettative del paziente? “Quel che attualmente si sa (fonte Cell Host & Microbe) è che oltre 100 (ma il numero e in costante progressivo incremento) sono i principi farmacologici nel cui metabolismo è stata documentata una qualche interferenza prodotta da componenti del microbiota. Più in particolare si è potuto constatare, per esempio, che un farmaco immunosoppressore, chiamato tacrolimus, viene influenzato nella sua efficacia dalle concentrazioni di Faecalibacterium prausnitzii. Nel senso che elevate quantità di questo batterio nell’intestino del paziente impediscono al farmaco di funzionare efficacemente. Sicché, in caso di alte concentrazioni di Faecalibacterium prausnitzii, bisognerà aumentare in proporzione le dosi del tacrolimusper far sì che questo principio attivo possa svolgere adeguatamente la propria funzione terapeutica. E, a proposito di farmaci immunomodulanti, altro esempio paradigmatico è quello del metotrexatola cui efficacia terapeutica - essendo, il farmaco, in grado di esercitare un impatto significativo sulla crescita e sulle attività trascrizionali di alcune popolazioni batteriche - risulta essere associata al grado di alterazione microbica soprattutto riferita al philum dei Bacteroidetes. Altro esempio paradigmatico del reciproco impatto “farmaci-microbiota” è dato dalla metformina, principio attivo abitualmente assunto da pazienti con diabete di tipo II nei quali, grazie a studi clinici appositamente condotti, è stata dimostrata la capacità del farmaco di influenzare, grazie ad una maggiore presenza di specie batteriche produttrici del metabolita agmatina, le vie di segnalazione metabolica che regolano la fisiologia del paziente e, dunque, la sua tolleranza al glucosio. Ulteriore bersaglio dell’azione del microbiota risulta essere la digossina abitualmente assunta da pazienti con insufficienza cardiaca cronica. Tale medicamento, notoriamente capace di aumentare la forza contrattile del cuore, viene inibito dall’enzimaCGR2 (Cardiac Glycoside Reductase 2) isolato da ceppi intestinali del genere Eggerthella lenta appartenente al philum degli Actinobacteria. Anche il metabolismo della L-DOPA, somministrata a pazienti con morbo di Parkinson, può subire alterazioni indotte da batteri. In effetti, la conversione della Levodopa nei principi farmacologicamente attivi è mediata dalla tirosina decarbossilasiprodotta da Enterococcus faecalis. Un scarsa presenza di quest’ultimo potrebbe, dunque, compromettere l’efficacia della terapia. Ed infine, a conferma del fatto che nelle dinamiche metaboliche dei medicinali possano anche intervenire microrganismi appartenenti al microbiota di altri distretti corporei, si è potuto documentare che il farmaco anti-retrovirale tenofovir  ha sortito effetti terapeutici molto più rilevanti in donne con elevata concentrazione di Lactobacillus nel tratto vaginale rispetto a quelle con più alti livelli di Gardnerella vaginalis”. Lei, però, parlava di un’azione bidirezionale: le reciproche interferenze “batteri-farmaci” da una parte e, dall’altra, la possibilità di agire sul microbiota per migliorare l’efficacia delle terapie. In che misura è oggi possibile accedere a tali procedure? “Partiamo dalla premessa fondamentale che, per poter procedere ad un’efficace manipolazione batterica a sua volta finalizzata alla ottimizzazione delle performances terapeutiche, sia indispensabile conoscere e, possibilmente, saper gestire le dinamiche relative al complesso del microbiota, semmai anche ripartito nei diversi distretti corporei ed analizzato nei compositi aspetti della sua identità e delle sue funzioni, oltre che negli esiti eterogenei ed insospettati delle sue eventuali disfunzioni. E grazie a queste conoscenze è stato possibile comprendere e documentare, per esempio, quanto elevate concentrazioni di Akkermansia muciniphila, Bifidobacterium longum e Faecalibacterium prausnitziisiano capaci di efficientare, in pazienti oncologici, terapie con inibitori dei checkpoint immunitari (blocco del PD-1), altrimenti inefficaci. O quanto l’assunzione di Akkermansia muciniphila combinata coninibitori del PD-1sia in grado di indurre una progressiva riduzione di masse tumorali, ovvero un trapianto di microbiotada donatori sani o di ceppi specifici di Akkermansia muciniphila in topi portatori di tumore possa attivare un significativo incremento della risposta immunitaria anti-tumorale.   Ulteriori esempi ben documentati di correlazioni biunivoche tra microbiota e farmaci possono richiamare, ad esempio, la capacità di alcuni batteri intestinali di modulare la tossicità gastrointestinale classicamente associata ai farmaci antinfiammatori non steroidei(FANS). Questo effetto verrebbe mediato dalla β-glucuronidasi, un enzima batterico capace di riattivare in ambiente intestinale il farmaco antinfiammatorio pur se precedentemente detossificato dal fegato. Ed ancora, una maggiore concentrazione di Roseburia inulivorans e Burkholderiales spsembra associarsi ad una buona risposta alla terapia in pazienti con malattia di Crohn in remissione. Appare chiaro come un intervento sul microbiota finalizzato ad un ri-arrangiamento della sua complessa struttura e, dunque, orientato a renderlo utilmente compliante con le diverse terapie cui il soggetto ospitante potrà eventualmente essere sottoposto, richiede valide strategie di analisi conoscitive e altrettanto valide pratiche di ripristino di una efficace condizione di eubiosi. In altri termini, richiede specifiche competenze traslazionali”.             Molti ed interessanti gli spunti dai quali partire, ma ancora tanti gli aspetti da approfondire e perfezionare. Quali, secondo lei, le priorità da focalizzare intorno ad una tematica così ampia, complessa e per molti versi ancora inesplorata? Quali i percorsi da attivare? “Certamente notevoli e veloci sono stati i progressi maturati in questo ambito, ma altrettanto certamente molti rimangono ancora i quesiti in attesa di risposte credibili e documentate. Tra l’altro, c’è da considerare il distacco notevole tuttora esistente tra chi fa ricerca e pubblica evidenze e chi invece, lavorando nei reparti o negli ambulatori, fa clinica senza cognizioni aggiornate sulla incredibile mole di azioni e di effetti che, in modo più o meno silente,  il microbiota esercita su ogni paziente. La conoscenza del microbiota rimane, dunque, un gap importante da colmare velocemente, magari attraverso un iniziale approccio multidisciplinare considerando la composita eterogeneità della materia e la multiforme rilevanza dei suoi riscontri nella pratica clinica quotidiana. L’obiettivo ultimo però, come già in precedenza accennato, rimane quello di approdare, poi, ad una figura univoca e ben riconoscibile nella sua competenza traslazionale. Per questo, tra i progetti formativi post-laurea di UniPegaso, abbiam voluto investire nella laboriosa strutturazione di un Master “dedicato” proprio al microbiota. Il progetto si impernia sulla necessità di trasferire al discente conoscenze e competenze in merito alle metodiche diagnostiche più innovative fondate su tecnologie omiche, con possibilità di analizzare e conoscere contemporaneamente tutte le informazioni biologiche derivanti dalla presenza e dalle attività metaboliche della popolazione microbica studiata. Il traguardo che ci si propone di raggiungere è quello di consentire all’operatore adeguatamente formato di procedere, con perizia, alla programmazione concettuale e all’attuazione operativa di protocolli diagnostici e terapeutici individuali e personalizzati, sempre improntati alle pratiche emergenti ed integrate della Precision Medicine”. Gaetano Gorgoni 

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