Cronaca 

La sconfitta dell'informazione

Troppi errori e non sempre in buona fede. Desta perplessità e preoccupazione il modo in cui una parte della stampa, locale e nazionale, ha trattato i fatti di Brindisi, alimentando il clima di ...

Troppi errori e non sempre in buona fede. Desta perplessità e preoccupazione il modo in cui una parte della stampa, locale e nazionale, ha trattato i fatti di Brindisi, alimentando il clima di “caccia alle streghe”   Certo che la deontologia professionale, in pochi casi come in questo, è andata a farsi friggere. Gli errori clamorosi, che hanno segnato il racconto del terribile attentato di Brindisi, sono stati dettati più da imprudenza, più da sensazionalismo, che da amore per la verità. Il confine tra la notizia e il rispetto delle persone e delle indagini giudiziarie è stato rovesciato più e più volte. Anzi, è stato violato. Alimentando, in una città tutto sommato tranquilla quale il capoluogo messapico, una vero clima da “caccia alle streghe”.  Di passi falsi ne sono stati fatti. Eccome. Innanzitutto nel ledere la dignità di Melissa e delle sue compagne. A cosa serviva sbattere in prima pagina una grande foto in cui far vedere il cadavere carbonizzato di una ragazza così indifesa? A farlo è stato, ahinoi, un quotidiano molto letto a Brindisi. Ma anche le testate nazionali hanno riportato in gran formato la sofferenza delle sedicenni colpite in pieno dall’esplosione, i loro volti anneriti, i loro capelli bruciati. Serviva a raccontare un dolore? No. Ma non si è pensato a questo. Si è fatto finta di non pensare a questo.  Il clamore mediatico ha, ancora una volta, dettato i tempi e i modi di una consapevolezza collettiva che avrebbe dovuto maturare e farsi adulta, invece, comprensibilmente, in questo clima, è regredita a forme di rabbia incontrollate. È stata “LaStampa.it” a diffondere il primo fotogramma del video che riprende il presunto killer e che doveva rimanere riservatissimo in mano agli inquirenti. Da lì la caccia al mostro è stata, continua ad essere, devastante.  Il quotidiano “Senza Colonne” ha pubblicato una foto a volto scoperto, con tanto di nome e cognome, di un uomo che era stato semplicemente ascoltato dagli inquirenti e che, invece, è stato designato come il complice dell’attentatore. Il giorno successivo, è apparsa la notizia di una persona iscritta nel registro degli indagati, smentita direttamente dal ministro della Giustizia Paola Severino, durante la conferenza stampa in Prefettura. E, poi, il clou. Proprio mentre si celebravano i funerali di Melissa, alcuni siti web locali, incautamente ripresi dalla stampa nazionale, hanno nuovamente diffuso il nome e cognome -che hanno fatto il giro del mondo- di un altro uomo già dato per killer. Era stato, invece, anche lui, semplicemente ascoltato dai magistrati, in colloqui continui e che hanno coinvolto decine di persone. La sua abitazione, nel quartiere Sant’Elia, però, è stata presa d’assalto da cronisti e non solo, senza considerare che lì ci abitava anche la compagna con la figlioletta di tre anni.  Davanti alla Procura, gruppi di persone arrabbiate hanno accerchiato un’auto della polizia, prendendola a calci. Uno dei boss del clan Brandi ha affermato che anche la Scu è in cerca dell’uomo per giustiziarlo, alimentando così il proprio consenso sociale. Ecco, aver dato la stura al farsi giustizia da sé o averla data alla criminalità è, davvero, una sconfitta.    Tiziana Colluto   (fonte: Belpaese)

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