Cronaca Acquarica del C. 

Caso Ciullo, misteri e omissioni a tre anni dalla morte. Genitori denunciano pm

Verità ancora lontana sulla morte del giovane deejay trovato impiccato nel giugno 2015: la famiglia non s’arrende e denuncia la pm. Acquarica del Capo, 21 giugno 2018. A tre anni esatt...

Verità ancora lontana sulla morte del giovane deejay trovato impiccato nel giugno 2015: la famiglia non s’arrende e denuncia la pm. Acquarica del Capo, 21 giugno 2018. A tre anni esatti dalla morte di Ivan Ciullo, in arte “Navi”, il deejay trovato impiccato il 22 giugno del 2015 ad un ulivo nelle campagne tra Taurisano e Acquarica del Capo, sulla vicenda aleggiano ancora molti dubbi. Alla tenacia e al coraggio dei genitori – Rita e Sergio - che non si sono arresi, le istituzioni hanno innalzato un muro, fatto di omissioni e contraddizioni investigative. Sono troppe, secondo la famiglia, rappresentata dall’avvocato Francesca Conte, le domande rimaste senza risposta a partire da un dato di fondo: nella vita del giovane non c’era alcun motivo per togliersi la vita. Il caso, però, fin dall’inizio, è stato liquidato frettolosamente come un suicidio, sulla base del fatto che accanto al corpo è stata trovata una lettera di addio ai genitori. Lettera, scritta al computer, con le uniche parole autografe nella intestazione della busta “Per mamma e Sergio” ma non con la scrittura di Ivan: lo ha dichiarato anche un perito. Eppure dalla famiglia si chiedono perché la Pm non abbia mai voluto autorizzare la perizia calligrafica sull’originale della busta. Un’altra questione aperta: il corpo è stato portato al nosocomio di Lecce, distante oltre 60 km da Acquarica, ed è stato trattenuto due giorni senza però effettuare l’autopsia. Ci si è limitati ad una visita esterna, senza neppure effettuare esami tossicologici: questo tipo di indagini avrebbero potuto farle in un qualsiasi ospedale più vicino. I genitori non sono stati interpellati nella decisione di non effettuare l’autopsia: non solo, hanno saputo della scomparsa del figlio casualmente. Ci si chiede anche perché, se come ha scritto il medico legale, sugli slip del giovane siano state trovate tracce di liquido seminale, il vestiario è stato gettato? E ancora, “perché – chiede la famiglia attraverso il legale - nessuno si è preoccupato di verificare che sotto la suola delle scarpe ci fosse la terra rossa del campo in cui è stato ritrovato il corpo senza vita? E perché anche le scarpe sono state gettate?” Ivan è stato trovato appeso al ramo di un albero di ulivo, ma le foto testimonierebbero che le estremità delle gambe fossero bianche, circostanza non compatibile con il suicidio: il sangue in un corpo appeso si deposita verso il basso: i piedi avrebbero dovuto essere blu. Sul corpo, inoltre, erano presenti ecchimosi dorsali. I segni dietro la nuca non sembrerebbero affatto provocati dallo strisciamento del cavo, poiché risultano asimmetrici al nodo: “Perché – si chiedono i familiari -, alla luce di questi elementi e, malgrado le ripetute richieste da parte dei legali dei genitori, non hanno ancora autorizzato la riesumazione e l’autopsia di Ivan?”. Anche la posizione del corpo avrebbe dovuto destare sospetti: è stato rinvenuto con le gambe genuflesse e non penzolanti. Tale posizione è stata giustificata dagli inquirenti con il cedimento del “cavo elettrico”: ma non si tratta di un cavo elettrico, bensì di un cavo microfonico che non cede o, se lo fa, si logora esternamente, ma le foto testimoniano che il cavo era integro. Il padre, Sergio, lo ha visionato, insieme ai legali e ai funzionari della Polizia di Stato di Taurisano e il cavo non presentava alcun cedimento né allungamento. Infine, non si sa che fine abbiano fatto il mazzo di chiavi che aveva con sé e le videocamere, presenti nell’auto di Ivan al momento della scomparsa. Ancora, i piedi dello sgabello, che è stato ritrovato accanto al corpo, sono solo appoggiati sul terreno e non affondano nella terra. Il medico legale, – come ricorda l’avvocato della famiglia - pur non avendo fatto autopsia, ha dichiarato che l’ora precisa della morte: h 18 del 21 giugno 2015. Così si legge nel suo referto, allegato alla prima richiesta di archiviazione. Poche pagine dopo, nello stesso fascicolo, la perizia sul cellulare di Ivan stabilisce che è stato spento definitivamente alle 18,40. “Perché – si chiede la famiglia - la PM, malgrado questa evidente incongruenza, ha chiesto l’archiviazione? Perché non le è venuto il dubbio che il telefono poteva essere stato spento da qualcun altro? Alle 18,40 del 21 giugno è ancora giorno, il sole tramonta due ore dopo. L’albero in cui è stato ritrovato Ivan si trova ai margini di una strada asfaltata e abbastanza trafficata, anche se in campagna. Possibile che nessuno abbia visto il corpo fino alla mattina successiva? E se fosse stato portato lì dopo la sua morte, inscenando un suicidio?” A tutte queste domande non sono state date le risposte che chiedono i genitori in nome della verità. Di fronte alla seconda richiesta di archiviazione presentata dalla PM, hanno presentato una formale denuncia-querela al Tribunale di Potenza nei confronti della stessa per il reato di omissione di atti d’ufficio. Dopo aver respinto l’iniziale richiesta di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari, Vincenzo Brancato, il 27 febbraio 2017, aveva chiesto agli inquirenti un ulteriore approfondimento investigativo, procedendo all’acquisizione delle celle telefoniche agganciate sia dal cellulare in uso a Ivan sia da smartphone, tablet e utenze in uso all’uomo con cui Ivan aveva intrattenuto contatti fino all’ultimo, disponendo altresì di acquisire eventuali dati GPS. Già nel corso dell’udienza di discussione i legali dei genitori di Ivan avevano fatto presente la necessità di acquisire quei dati in tempi celeri, poiché, trascorsi due anni dal fatto, i dati telefonici sarebbero stati eliminati per sempre dalle varie compagnie telefoniche. In effetti, accade che i due cellulari vengano sequestrati con urgenza il 15 marzo 2017, ma “l’acquisizione presso gli operatori di rete di accesso per le comunicazioni “Wind Spa”, “Telecom Spa” e “Vodafone Omnitel spa” ed “H3G” mobili, di copia cartacea ed informatica della documentazione integrale del traffico storico, localizzazione delle celle impegnate, messaggi di testo entrante ed uscente dall’utenza radiomobile, con utenza, dalle ore 00,00 del giorno 10.06.2015, alle ore 24.00 del giorno 01.08.2015” – in uso all’indagato – è stata richiesta dal PM in data 10.10.2017 e l’incarico al consulente tecnico venga assegnato solo il giorno 21 giugno 2017, ovvero il giorno del secondo anniversario della morte di Ivan. Di conseguenza le compagnie telefoniche interessate, hanno comunicato che, essendo trascorsi i 24 mesi previsti dalla data della comunicazione dei dati di traffico telefonico, gli stessi erano stati distrutti. Dalla famiglia si chiedono se si tratti di una fatale casualità: sta di fatto che “questo gravissimo ritardo ha comportato la perdita di elementi fondamentali per le indagini ed ad oggi irripetibili”. A questa seconda richiesta di archiviazione, il legale dei genitori Francesca Conte, ha presentato le loro opposizioni. Il prossimo 12 luglio è prevista l’udienza di discussione davanti al Gip.

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